
Lo Spirito per una Chiesa in ricerca della strada giusta dentro la storia
Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 14,23-29)
In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
Il vangelo di questa VI domenica del tempo di Pasqua ci accompagna verso la Pentecoste con il riferimento allo Spirito Santo presente nella vita della futura Chiesa. Lo Spirito, dice Gesù nel contesto dell’ultima cena, consola, protegge e difende (questo il significato del termine greco Paràclito), oltre a contribuire a portare una pace vera, frutto di una ricerca comune della verità e delle strade da percorrere dentro la storia da parte dei discepoli.
La prima lettura, infatti, ci presenta una delle prime grosse crisi della Chiesa. Iniziative di singoli discepoli o di comunità (originate alcune quasi per caso, altre per scelta più consapevole, altre ancora per ispirazione dall’alto) avevano portato ad includere e battezzare anche dei non ebrei provenienti dal politeismo pagano. Davanti al fatto compiuto la prima Chiesa si era divisa in varie correnti in aspra discussione: da una parte Paolo, Barnaba e altri missionari a loro collegati sostenevano che per essere discepoli di Gesù fosse sufficiente credere fermamente che il dono della sua vita fosse sufficiente per essere salvati da peccato e morte; all’altro estremo discepoli educati nel rigorismo farisaico che partivano da Gerusalemme per andare a smentire Paolo e avvisare i convertiti provenienti dal paganesimo della necessità di farsi circoncidere e di seguire i 613 precetti dell’ebraismo; in mezzo varie forme di moderatismo o di compromesso tra le due posizioni. La scelta che si aveva davanti era tra il rimanere un gruppo all’interno del contesto religioso ebraico o di avviarsi ad accogliere discepoli di ogni nazione, lingua e cultura.
Per l’asprezza dello scontro si deciderà di incontrarsi a Gerusalemme dove i rappresentanti di ogni corrente avranno la possibilità di argomentare la propria posizione. Nella città santa si cercherà di capire quale via indica lo Spirito alla Chiesa, non solo attraverso la preghiera, ma anche attraverso l’ascolto reciproco, la discussione, il discernimento. Il brano degli Atti che viene letto questa settimana riporta parte della lettera che sarà portata alle comunità con la posizione paolina, con qualche accorgimento e mediazione, che diventa la via della Chiesa nascente.
Questo itinerario storico della Chiesa in ricerca, ci dice la lettura dell’Apocalisse, ha una meta, rappresentata dalla Gerusalemme celeste. Là crolleranno e finiranno tutte le mediazioni, come le regole dell’assemblea degli Atti, che oggi non osserviamo più. Finiranno perfino quelle mediazioni sacre donate da Dio per il tempo della Chiesa, come i Sacramenti e la Parola. Infatti non ci sarà più il tempio perché gli uomini staranno alla presenza di Dio contemplandolo «faccia a faccia così come Egli è» (1Cor 11,12).
Bisogna, perciò, non fossilizzarsi nei gesti e negli atti sacri ma educarsi a considerarli segni di una realtà e di un destino superiore. Passi e mediazioni, sempre parziali e relativi, di un cammino che porta alla vera gioia, alla vera pace e al vero amore verso gli altri e a Dio.
L’itinerario storico della Chiesa ha un suo progresso non sempre lineare, come lo stesso Concilio di Gerusalemme attesta. Importanti sono alcune virtù come la dinamicità che impedisce alla Chiesa di essere nostalgica, la fedeltà che impedisce alla Chiesa di essere sbandata, la pazienza che impedisce alla Chiesa di essere frenetica, la profezia che fa comprendere alla Chiesa i segni dei tempi, la tolleranza e il dialogo che impediscono alla Chiesa la malattia dell’integralismo, la speranza che fa superare alla Chiesa esitazioni e incertezze. Ma su tutto deve dominare la fede nello Spirito, guida ultima e viva della Chiesa.
card. Gianfranco Ravasi
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La prima lettura, infatti, ci presenta una delle prime grosse crisi della Chiesa. Iniziative di singoli discepoli o di comunità (originate alcune quasi per caso, altre per scelta più consapevole, altre ancora per ispirazione dall’alto) avevano portato ad includere e battezzare anche dei non ebrei provenienti dal politeismo pagano. Davanti al fatto compiuto la prima Chiesa si era divisa in varie correnti in aspra discussione: da una parte Paolo, Barnaba e altri missionari a loro collegati sostenevano che per essere discepoli di Gesù fosse sufficiente credere fermamente che il dono della sua vita fosse sufficiente per essere salvati da peccato e morte; all’altro estremo discepoli educati nel rigorismo farisaico che partivano da Gerusalemme per andare a smentire Paolo e avvisare i convertiti provenienti dal paganesimo della necessità di farsi circoncidere e di seguire i 613 precetti dell’ebraismo; in mezzo varie forme di moderatismo o di compromesso tra le due posizioni. La scelta che si aveva davanti era tra il rimanere un gruppo all’interno del contesto religioso ebraico o di avviarsi ad accogliere discepoli di ogni nazione, lingua e cultura.
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Bisogna, perciò, non fossilizzarsi nei gesti e negli atti sacri ma educarsi a considerarli segni di una realtà e di un destino superiore. Passi e mediazioni, sempre parziali e relativi, di un cammino che porta alla vera gioia, alla vera pace e al vero amore verso gli altri e a Dio.
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