La Parola è la mia casa: [28/05/2023] dom Pentecoste TP anno A

Comunità pastorale delle parrocchie di Chiuro e Castionetto

La Parola è la mia casa: [28/05/2023] dom Pentecoste TP anno A

I linguaggi e lo Spirito Santo: una fantasia multiforme contro l’omologazione di una ideologia prepotente e totalitaria

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 19-23)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Il vangelo di questa domenica pone in stretto rapporto la Parola con lo Spirito Santo. Il Paraclito va invocato soprattutto per fare in modo che la Parola non rimanga testo astratto fissato sulla carta, ma si incarni nella nostra quotidianità specifica, nella nostra vita che si svolge in un determinato contesto storico e culturale, nella nostra storia personale che è unica e irripetibile.

Accostando il brano di Giovanni proposto con la prima lettura, il racconto della discesa dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste secondo gli Atti degli apostoli, si illumina in maniera particolare il legame con la Parola e la sua incarnazione nella quotidianità, nella vita, nella storia di ciascuno.

Rileggendo con attenzione At 2,1-11 notiamo come alcune espressioni abbiano un significato leggermente diverso rispetto a ciò che crediamo di sapere della discesa dello Spirito e che è raffigurata in molte immagini, anche di alto valore artistico. La maggior parte dei fenomeni raccontati non appartengono a ciò che si vede, ma a ciò che si sente … per limitarci a due esempi: ciò che “venne improvviso dal cielo” e che “riempì la casa dove stavano” non fu un vento, ma “un fragore”; e ciò che apparve e si posò su ciascun presente non sono delle fiammelle perché la parola italiana “lingue” non traduce qui il muscolo presente nella bocca, ma più propriamente il termine greco che si potrebbe rendere con “linguaggi”.

Così capiamo meglio anche il primo effetto prodotto dalla discesa dello Spirito: la comunità esce per le strade di Gerusalemme e comincia a comunicare con i molti pellegrini giunti in città per la festa ebraica di Pentecoste da luoghi dove si parlavano idiomi diversi ed ognuno intende i discepoli di Gesù nella lingua della terra da dove arriva.

Ne derivano delle conseguenze importanti per avere una visione corretta della Parola di Dio e della missione. Il Vangelo non è una ideologia e nemmeno è riducibile ad elemento culturale di un determinato popolo e inseparabile da tale contesto. Lo Spirito lo incarna in forme diverse nelle diverse culture e le feconda rispettandone le differenze e l’originalità. A differenza di quanto raccontato nell’episodio della torre di Babele dove tutta l’umanità veniva radunata sotto “un’unica lingua e uniche parole”, una ideologia totalitaria e omologante.

Da questi brani biblici derivano le riflessioni contenute nella Fratelli tutti di papa Francesco sulla differenza tra la globalizzazione che appiattisce ogni differenza sugli aspetti consumistici della attuale cultura occidentale e la fraternità basata sulla comune umanità che preserva e valorizza le specificità di ogni popolo.

Invochiamo allora più spesso lo Spirito perché la Parola si impasti con l’unicità della nostra vita e della nostra esperienza, mostrandoci un Dio che non ama genericamente e impersonalmente tutti, ma che ama ciascuno con quella misericordia che gioisce e apprezza le specificità di ogni suo figlio. E perché anche noi, come Chiesa missionaria in uscita, sappiamo accogliere ed evangelizzare ognuno con la stessa attenzione.

Senza lo Spirito Santo Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, il Vangelo è lettera morta, la Chiesa è una semplice organizzazione, l’autorità è una dominazione, la missione una propaganda, il culto una evocazione, e l’agire dell’essere umano una morale da schiavi.

Atenagora, patriarca ecumenico di Costantinopoli